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Quando eco piu' equo fa davvero chic: Dalaleo

01.04.2011

Brasile


Dalaleo, una marca equo solidale made in Brasile

La Dalaleo crea borse, cinture e gioielli con la linguetta delle lattine, quella che si strappa e in genere si butta. Il design nasce da quello che è considerato uno "scarto", dandogli nuova vita.

Ecco
la storia che sta dietro a questi 'preziosi' oggetti luccicanti. Raccontate questo, è importante per chi comprerà questo prodotto. Dopo piacerà ancora di più.

Nel febbraio 2005 una giovane donna, Luisa Leonardi Scomazzoni, per tutti Leo, è in vacanza in Brasile. Per la precisione, a Salvador de Bahia. Originaria di Ala di Trento, vive a Riva del Garda da quando è scappata dall'impresa edile del padre per aprire un negozio nel quale vendere ciò che piace a lei. «Oggi potremmo definirlo etnico- chic, nel '98 era un azzardo. Senza alcuna esperienza, compravo oggetti d'arredo per la casa perché li trovavo interessanti, strani, belli».

Passa qualche anno e il negozio, battezzato Dalaleo, diventa un punto di riferimento per chi cerca cose inconsuete ed originali.
Intanto Leo va in vacanza in Brasile, dunque. Girando per le botteghe del Mercado Modelo, nella città bassa vede una strana borsa metallica. Senza pensarci troppo, la compra. La osserva meglio e scopre quanto è fantastica ed insolita. Così ritorna indietro e ne compra 20!

«Mi aveva folgorato, era fatta con le linguette delle lattine delle bibite». Ivonete Oliveira dos Santos, così si chiama la donna del mercato, le racconta che produce le borse nella favela dove vive. E dà lavoro a molte altre donne, quasi tutte con figli a carico abbandonate dai mariti, oppure con compagni violenti e nullafacenti. «Solo allora ho capito il motivo di tutti quegli uomini che vedevo raccogliere lattine di birra o altre bevande per le strade. Sono quelli trovati per terra, mi disse Ivonete, perché essendo l'alluminio un materiale riciclabile, viene pagato a peso».

Viene pagato ben poco, ma nella povertà della periferia bahiana, può rappresentare la sopravvivenza. Quando Leo torna in Italia, non fa in tempo ad aprire il negozio che le borse sono già tutte vendute. Cerca un contatto con Ivonete e le ordina altre cinquanta borse, poi cento, poi duecento. A tutte le clienti non si stanca di ripetere delle lattine e della donne di Bahia:

«Quella non è una borsa, è una storia. Se non la conosci, non puoi capirne il valore. Non riesci a cogliere che un rifiuto è diventato un'opportunità per gli ultimi della terra». Le linguette vengono staccate dai catadores, mentre raccolgono le lattine, messe in un sacco a parte e vendute separatamente. «Inutile dire che il prezzo delle linguette è lievitato, diventando quasi otto volte quello delle lattine. Almeno un terzo viene scartato perché colorato o deformato. Quelle utilizzabili vengono lavate e asciugate con cura, poi unite tra loro con un filo di cotone e nylon lavorato a punto catenella con l'uncinetto».

Nel settembre 2006, durante una fiera, Leo incontra una persona che la invita a esporre con lei a Première Classe, uno tra i più importanti appuntamenti parigini della moda «Una svolta imprevedibile». Decide che a Parigi deve andarci con una piccola collezione. Non sa disegnare, ma ha in mente alcune modifiche che spiega a Ivonete. Da Salvador de Bahia arrivano dieci nuove borse e con quelle parte per la Francia...«Un successo incredibile: tornavo a casa con 60mila euro di ordini. E non vedevo l'ora di raccontarlo a Ivonete». Leo non conosce le lingue e la grande fatica fatta a raccontare delle favelas ai vari buyer intemazionali la convince ad allegare a ogni borsa un dépliant pieno di foto con la storia descritta in cinque lingue. «Sul prezzo non ho mai trattato, come fai a trattare con chi ha per tetto una lastra di amianto eternit? Nè ho chiesto adeguamenti per la svalutazione della moneta brasiliana rispetto al dollaro. Il prezzo pattuito è in real, io importo in dollari: la differenza è a carico mio». Nel frattempo, i modelli di borse e accessori moda diventano ottanta oltre a una ventina di collane e alcuni pezzi di complementi d'arredo venduti in 250 boutique in tutto il mondo. Non molto tempo fa Leo viene contattata da intermediari di compagnie aeree: vogliono 100mila borse. Si riprende dalla sorpresa e capisce che non può accettare: le quasi 10 mila borse che Ivonete e le sue 75 donne producono ogni anno è il massimo possibile.

«I miei consulenti mi dicono che sono matta: basta aprire una fabbrica in Cina, comprare linguette nuove e il gioco è fatto. In Cina? Ma i matti sono loro. lo voglio che questa continui ad essere una bella storia di amicizia e di riscatto».

Ne ha parlato il Sole24Ore di gennaio 2011, a cui dobbiamo la maggior parte delle info di questo post, Style.it e Marie Claire

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