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Cinema

Nonostante l'eterna crisi di questo continente sempre punito da debiti e problemi socio-economici, oltre che da una pressante ingerenza mediatica hollywoodiana, il cinema latinoamericano ha avuto una rinascita notevole negli ultimi anni. Sarà perché malgrado le difficoltà di finanziamenti - pur sempre presenti - non mancano le idee e le risorse umane, e soprattutto le storie di vita da raccontare, la quotidianità, le esperienze di fare a pugni con la realtà per sopravvivere in un mondo che non offre all'uomo comune molte speranze.
Evidentemente il cinema latinoamericano ha da un decennio molto da dire, da denunciare, da esprimere, chissà se questo non sia anche oltre alla scoperta di nuovi talenti nella regia un atto catartico per esorcizzare le paure, il senso d'incertezza costante e la precarietà della vita.

Iniziamo a parlare di un film argentino, a noi molto caro: "Il Viaggio" di Pino Solanas (1992) che sintetizza un po' la problematica latinoamericana attraverso un percorso lungo tutta l'America del Sud - dalla gelida e mitica Patagonia da dove parte il protagonista, il giovane Martin, che scappa di casa e risale il continente alla ricerca del padre che non vede da dieci anni, e naturalmente, di una speranza per se stesso. Tutto inizia con una satira politica a Buenos Aires, città sommersa letteralmente nell'immondizia. Il governo è in mano a un presidente fantoccio, che il regista utilizza per esprimere una critica feroce all'allora presidente Carlos Menem (chiamato Rana, epiteto che in Argentina si usa come sinonimo di furbetto). Questo presidente invita i cittadini a galleggiare in una città che affonda ogni giorno di più dove nemmeno i morti riescono a riposare in pace, giacchè pure i cimiteri sono inondati. Martin prosegue il viaggio in Brasile, Perù, Venezuela, Colombia, tra foreste, miniere d'oro, barche e fiumi. Alternando posti di bellezza sublime con povertà estrema, le due facce dell'America Latina.

Altro film, dedicato alla celebrazione del viaggio, è "I diari della motocicletta" (dal libro "Latinoamericana") del brasiliano Walter Salles: la storia racconta dell'esperienza-avventura di Ernesto Che Guevara e del suo amico Alberto Granado, durante l'attraversamento dell'America del Sud (da Buenos Aires al Rio delle Amazzoni) in motocicletta, nei primi anni '50. Qui il viaggio non simboleggia la fuga dalla realtà o dal quotidiano, ma funge da formazione di una coscienza politica e civile; un'esplorazione avventurosa alla scoperta dell'America Latina che permette ai due giovani amici di riappropriarsi delle proprie origini, e di scoprire se stessi toccando con mano una realtà fatta di povertà, arretratezza, ingiustizie e soprusi storici. Sempre sulla storia e vita di Che Guevara da menzionare Che El Argentino (2009) e Che Guerrilla, girato in Bolivia (2009) di Soderbergh con Benicio del Toro.

Senza alcuna pretesa di completezza filologica, un po' a caso, e sicuramente molto "soggettivamente" consigliamo per quanto riguarda l'Argentina i seguenti film: 
Alambrado di Marco Bechis (1991)
Luca's Film di Marco Bechis (1995)
Garage Olimpo di Marco Bechis (1999)
Figli - Hijos di Marco Bechis (2002)
Anni Ribelli di Rosaria Polizzi (1993) 
Buenos Aires vice versa di Alejandro Agresti (1993)
Cavalli Selvaggi di Marcelo Pineyro (1995)
Evita di Alan Parker (1996)
La pelicula del Rey di Carlos Sorin (1986)
Fergus O'Connell dentista in Patagonia di Carlos Sorin (1989) 
Piccole Storie di Carlos Sorin (2002) 
BomBon el Perro di Carlos Sorin (2004) 
Grido di Pietra di Werner Herzog (1991)
L'ora dei forni di F.E. Solanas (1968)
Tangos (l'esilio di Gardel) di F.E. Solanas (1985) 
Il Viaggio di F.E. Solanas (1992) 
Sur di Fernando di F.E. Solanas (1998) 
La nube di Fernando di F.E. Solanas (1998)
Diario del saccheggio di F.E. Solanas (2004) 
La dignità degli ultimi di F.E. Solanas (2005) 
La notte delle matite spezzate di H.Oliveira (1988)
La cienaga (la palude) di Lucrecia Martel (2001)
La storia ufficiale di Luis Puenzo (1985)
Lezioni di tango di Sally Potter (1997)
Patagonia Rebelde di Pino Solanas 
Tangos (l'esilio di Gardel) di Fernando Solanas (1985) 
Mission di Roland Joffè (1986)
El Abrazo partido di Daniel Barman (2003)
Le nove regine di Fabian Bielinsky (2000)
La niña santa di Lucrecia Marte (2004) 
Whisky di Juan Pablo Rebella (2004)
El amarillo di Sergio Mazza (2006)
XXY di Lucia Puenza (2007)
Complici del Silenzio di Stefano Incerti (2009): 1978 mondiali di calcio in Argentina - una storia che si intreccia con la tragedia dei "desaparecidos" e l'atmosfera gioiosa e leggera del calcio.

Nella produzione cinematografica cilena, profondamente segnata nei contenuti dalla dittatura di Pinochet, spiccano: 
D'amore e ombra di Betty Kaplan (1994)
La casa degli spiriti di Bille August (1993)
La frontera di Ricardo Lorrain (1991)
Missing di Costa Gavras (1981)
La morte e la fanciulla (1994) di Roman Polanski
Rapanui di Kevin Reynolds (1993) - Isola di Pasqua
Compagno Presidente di Miguel Littin (1971) 
La terra promessa di Miguel Littin (1972)
Actas de Marusia (con Gian Maria Volontà) di Miguel Littin (1973)
Il ricorso del metodo di Miguel Littin (1978) 
Alsino e il condor di Miguel Littin (1982)
Acta general de Chile di Miguel Littin (1985)
Tierra de Fuego (sceneggiatura di Tonino Guerra e Sepulveda) di Miguel Littin (1999)

Il cinema boliviano sta cominciando negli ultimi anni ad uscire fuori dai propri confini, grazie soprattutto al Festival del Cinema latinoamericano di La Havana (www.habanafilmfestival.com) e al lavoro del suo maggior cineasta: Jorge Sanjinès. Suoi sono "La nazione clandestina", "Sangue di condor" e " Ukamu". Tra le ultime pellicole distribuite a livello internazionale il film "Bolivia" (2001) di Adriàn Israel Caetano.

Fra i registi peruviani spicca tra tutti Francisco J. Lombardi con venticinque opere tra cui "La città e i cani" (1975), "Sotto la pelle", "La bocca dei lupi", "Pantaleon e le visitatrici". Inoltre i cineasti Edgardo Guerra ("Morto d'amore"), Federico Garcia ("Il forestiero"), Josué Méndez ("Dias de Santiago") e Ricardo Velasquez ("Django, l'altra faccia").

Quando si parla di cinematografia brasiliana quasi sempre si intende alludere a quella corrente conosciuta col nome di "cinema nôvo". Storicamente, si tratta del terzo momento autonomo e significativo di quella cinematografia, da sempre colonizzata, dopo la cosiddetta "belle époque" delle origini (3-4 anni, a partire dal 1908) e le farse degli anni '40. Tendenzialmente, si inserì in una più vasta corrente di rinnovamento della cultura brasiliana, che riguardava anche la musica, la letteratura, il teatro e le scienze sociali. Il movimento fu molto differenziato: non si configurò come una "scuola", né espresse atteggiamenti omogenei in campo ideologico o linguistico. 
La personalità di punta doveva essere però quella di Glauber Rocha, il cui cinema raggiunse la fama internazionale. Di lui ricordiamo il barocco "Deus" e "Il dio nero e il diavolo biondo" (1964) e "Terra in trance" (1967).
Nonostante il suo già sottolineato eclettismo espressivo - consapevole, del resto, nella teorizzazione di un cannibalismo culturale verso i prodotti intellettuali del mondo imperialista - il cinema nôvo si trovò a concordare su una esigenza di fondo. Cinema politico per eccellenza, esso si pose infatti come obiettivo la lotta contro il sottosviluppo culturale imposto al Brasile. 
Ma premi e riconoscimenti internazionali non valsero a impedire che il cinema nôvo mancasse proprio il suo scopo principale. Mentre un'immagine inedita e sconcertante del Brasile si diffondeva nel mondo, infatti, nessun nuovo pubblico si formava nel paese d'origine di quel cinema, che restava confinato all'interno di una ristretta categoria intellettuale, sostanzialmente limitata ai cineasti.
Se un tale successo venne a mancare, non fu comunque solo per assenza di coordinamento o peccato di "intellettualismo". La corrente era nata da appena un paio d'anni, quando la sua parabola fu praticamente troncata dal colpo di stato militare del 1964.
Dopo anni di oscurantismo e di abbandono, il cinema brasiliano sta vivendo ora una fase di nuova creatività.
Un posto a parte, per il suo valore ed il suo successo internazionale (Orso d'Oro a Berlino 1998) meritano infatti "Central do Brasil" di Walter Salles, che riesce a descrivere un paese non da cartolina, senza però mai cadere nel patetico e nel melodramma ed il bellissimo "Ciudade de Deus" di Fernando Meirelles: film che racconta le favelas più povere e più distanti dal Brasile "vivibile", senza alcuna distanza moralistica o politicamente corretta, con la nitidezza di un documentario e la capacità di coinvolgimento del racconto cinematografico corale a struttura narrativa forte.